L’azione aveva lo scopo di manifestare pubblicamente ed eloquentemente, l’assoluta assenza di considerazione per la qualità del mezzo e per il servizio after-market, offerto dalla nota Casa automobilistica bavarese.
Infatti, per quanto riferito dalla stampa, il signore in argomento, dal 2008 aveva inutilmente richiesto alla filiale italiana, nazione ove aveva acquistato l’auto e successivamente a quella tedesca, di risolvere vari problemi tecnici, senza ottenere mai alcuna soluzione.
Tanto valeva prendere a mazzate quell’ammasso di “Schiumato e banda” pagato circa 120.000 euro.
Certo, il signor Hadi potrà permetterselo e forse potremo anche dire che, di questi tempi, un po’ di parsimonia, seppure per uno scassone, non guasterebbe, ma, visto che i soldi sono suoi, gli va dato atto di aver agito con rettitudine:
qualcun’altro al suo posto si sarebbe liberato del mezzo, vendendolo ad un ignaro acquirente, al quale attestare l’assenza di pregressi esiti di infortuni stradali. Hadi Pourmohseni, uomo d’affari di origine iraniana, ha invece preferito palesare a tutti il suo disappunto.
Inutile dire che la casa automobilistica in questione ha fatto sapere, mediante un suo portavoce, che ora si interesserà ai problemi della vettura in argomento, forse trovando uno sfasciacarrozze interessato alla meccanica, l’unica parte rimasta forse indenne dopo il trattamento del proprietario!
Questi i fatti, ma la vicenda, sensazionale per la sua platealità, fa emergere alcuni aspetti del quotidiano rapporto tra venditore e acquirente, tra produttore di un bene e fruitore d’esso, che spaziano in ogni settore merceologico.
L’attività di marketing pervasiva ed onnipresente, affinata nel corso degli ultimi decenni e raffinata nei modi e nelle proposte, ammalia, lusinga e attrae il potenziale compratore, convinto di trovare in quel bene, in quella merce, in quel prodotto, quanto promesso e spesso molto più.
Il marketing non si limita a proporre nel migliore dei modi un prodotto: lo trasforma in ciò che desideriamo. Sia esso automobile, orologio, telefono, una lavatrice o un modestissimo fustino di detersivo per bucato, l’utilità e le proprietà intrinseche di quel prodotto, vengono amplificate mediante l’esaltazione dichiarata o surrettizia delle sue doti.
E’ vero: nessuno ci costringe ad acquistare un prodotto/bene. Apparentemente. In realtà molte, moltissime cose, oggetti, mezzi, prodotti del genere più disparato di cui quotidianamente ci circondiamo e con i quali ingombriamo gli spazi della nostra casa, dal salotto, al garage, dal frigorifero all’armadietto del bagno a quello dei medicinali, sono sostanzialmente inutili per noi.
Sono orpelli, cianfrusaglie del possesso delle quali spesso, spinti dalla sirene del marketing, ci vantiamo con gli amici o esibendole in pubblico. Raramente ammettiamo di aver acquistato cose totalmente inutili e quasi mai dichiariamo di essere stati banalmente gabbati nell’acquisto di un bene rivelatosi difettoso o, peggio, totalmente inidoneo a fornire il servizio promesso. Viviamo nell’era della soddisfazione dell’insoddisfazione, mediante lo shopping, pratica razionalmente insensata e irrazionalmente producente insoddisfazione oltre che spreco delle risorse economiche, spesso faticosamente guadagnate.
Ma c’è uno spreco ulteriore, un consumo non quantificato dalle statistiche economiche, non evidenziato dai valori considerati dal PIL: quello del tempo effettivamente dedicato a se stessi. A pensare, a vivere semplicemente e serenamente la propria giornata, immuni dalla ricerca di vano appagamento offerta dal nulla proposto dalle sirene del marketing.
Sono fatti di semplice cronaca quotidiana, atti di ordinaria follia.
Stefano Radi